I Vandali a Bologna
Pubblicato dal COMITATO BSA
Bologna, luglio 1916 – Coop- Tip. Azzoguidi
Un po’ di storia…
Bologna, un giorno, al pari di tante altre città italiane, aveva un centro famoso per memorie storiche, per monumenti del Medioevo e della Rinascenza impreziositi da elementi classici, per vie strette e pittoresche che tortuosamente sboccavano nelle piazze austere e solenni, per mille elementi di storia e di arte che concorrevano ad accrescere il suo carattere estetico.
Ciò sfuggiva al Baedeker: pochi gli stranieri e meno gli italiani che sostavano a scoprire le bellezze della nostra rossa città. Ma il piccolo centro conservava intatta l’anima gioviale del popolo bolognese, povera di mezzi ma ricca d’intendimenti, solenne sempre nelle gioiosità e nelle feste: il piccolo centro pulsava della vecchia vita e del vecchio sangue petroniano.
Finché circa quarant’anni fa, gli edili municipali convennero di togliere gli inconvenienti igienici, che si annidavano fra le case e casupole del centro.
L’intendimento fu più che lodevole: la sua attuazione assai infelice. Malauguratamente in quei giorni nessun libro di storia bolognese, nessuna raccolta di documenti, non una di quelle buone antiche vedute scenografiche della città si trovò per caso sul tavolo degli edili municipali: non vi erano che lapis, righe e squadre. E fu facile cosa, maneggiando tali istrumenti, creare grandi strade ed enormi palazzi, scimiottando le grandi città dell’Estero e creando un nuovo centro buono tutt’al più per i quartieri che già si stavano progettando ed eseguendo alla periferia della città.
Nessuno pensò che tracciando con sublime leggerezza due o tre righe ad angolo retto si distruggevano tanti e tanti elementi preziosi di antichità venuti su lentamente coi secoli e testimoni di notevolissimi fatti storici.
Da parecchi anni quel facile tracciato di righe, che prese il nome di piano regolatore, rimase nella residenza municipale.
Poi un’Amministrazione, benemerita per tanti altri motivi, si accinse all’applicazione del piano regolatore.E’ noto come altri, all’infuori degli edili municipali, scendesse subito in campo per combattere la colpevole leggerezza, colla quale era stata ideata la sistemazione del centro. Alfonso Rubbiani, l’unico vero amante della sua città, l’unico degno di coordinare le ragioni di viabilità e di igiene con quelle storiche ed estetiche, si affrettò a contrapporre all’assurdo piano ufficiale un altro progetto, che aveva per fondamento l’allargamento di via Caprarie ed Orefici, piuttosto che quello di via Rizzoli.
Naturalmente il suo progetto non fu preso in considerazione che da alcuni artisti locali e da qualche giornale di Roma: i lavori di demolizione cominciarono indisturbati.
Fu allora una appassionata e affannosa azione di Rubbiani e dei suoi per salvare almeno alcuni preziosi monumenti minacciati dalla provincialissima attuazione del piano regolatore. Tra la disattenzione del pubblico, la accidia dei giornalisti, la piccola noncuranza degli artisti, furono lanciati grida di aiuto per la salvezza della casa dei merciai, attigua al palazzo del Podestà, e per la conservazione della casa dei Beccai, in via Caprarie: ambedue notevolissime per gli avanzi di loro antica forma, per il loro significato e ricordo storico, per la loro innocentissima ubicazione, che non danneggiava per nulla il mirabolante piano regolatore.
Naturalmente, e ben presto, le due case furono rase al suolo: e così gli avanzi della torre Lambertini e così la loggia architettata dal Peruzzi in via Orefici e così un’altra in via Rizzoli, appartenuta ai Tosapecore.
Al posto delle piccole vecchie case, al posto delle torri, al posto dei vicoli pittoreschi, sorsero, e stanno, due enormi parallelepipedi, che, quand’anche della migliore architettura del mondo, hanno irreparabilmente rovinato la bellezza del centro di Bologna. Tra la solennità composta e magnifica della Piazza Maggiore e di quella del Nettuno e tra il pittoresco aggruppamento delle due torri, del palazzo degli Strazzaroli, di S. Bartolomeo in Piazza Ravegnana vicina alla Mercanzia incastonata ancora nel suo antico e naturale anello di edifici, i due nuovi palazzoni sono i veri esponenti della grettezza e della vana burbanza del piano regolatore.
IL PROGETTATO VANDALISMO
Un terzo mostruoso palazzo sta progettandosi a perpetrare l’ultima rovina del centro di Bologna.
E la rovina sarà anche maggiore che nei primi tratti di via Rizzoli, perché consumata nella immediata vicinanza di piazza Ravegnana e dei suoi monumenti.
Quando nel 1909 Alfonso Rubbiani pubblicò il suo progetto di allargamento di via Caprarie, vi unì, tra le altre, una prospettiva disegnata dal Pontoni, colla quale mostrava l’aspetto dell’ultimo tratto di via Rizzoli con alcune torri isolate dalle casupole circostanti.
“Liberate le Torri di Tarlato Pepoli (o dei Riccadonna) e degli Artenisi davanti al fantastico quadro di cui i nostri disegni vogliono dare idea, la visione che Giosue Carducci ebbe della turrita Bologna immaginandola più che altro per virtù di profonda cultura storica, sarebbe meglio fatta chiara e tangibile a tutti”.
La stampa locale non si curò di queste nobilissime parole, né di altre pronunciate dopo: le due povere torri, colpevoli di essere non più alte di 25 metri, vissero nascoste ed insidiate.
Ora tutta la città conosce la questione delle torri: in tutti i caffè se n’è parlato e se ne parla: molti consessi artistici hanno formulato voti: i pareri sono divisi.
Si rimprovera ai sostenitori delle torri di essere scesi in campo troppo tardi, ma i cartoni del Comitato per “Bologna storico-artistica” conservano le proteste e i ricorsi e gli articoli scritti dal 1909 ad oggi a favore della questione.
Se la stampa se ne è occupata solo quando era ed è imminente la demolizione delle torri, forse è scemato il valore degli argomenti o è diminuita l’autorità di chi se ne occupava prima?
Per i non bolognesi la fotografia qui unita darà una idea delle due torri quali ora si vedono contornate da misere costruzioni d’informe architettura: per i non bolognesi basti il sapere che le torri Riccadonna, Artenisi e Guidozagni sono costruzioni in laterizio del secoli XII-XIII, singolari per le loro particolarità tecniche di basamenti di gesso, di porte a blocchi pure di gesso, di finestrelle a sesto circolare, caratteristiche per il loro raggruppamento, importanti per il ricordo dei tempi gloriosi di Bologna libero comune, fiera rivendicatrice dei suoi diritti in faccia all’imperialismo settentrionale.
Fu appunto per iniziativa del Comitato per “Bologna storico-artistica”, guidato allora da Alfonso Rubbiani, che la questione passò in seno al Consiglio Superiore di Belle Arti. Purtroppo i tre delegati, tra i quali due illustri estinti, cedettero alle insinuazioni degli edili municipali e a quelle dei finanzieri ufficiali. Il terzo palazzo di via Rizzoli fu approvato, purché di limitata altezza, la torre Riccadonna condannata perché d’intoppo alla viabilità, la torre rtenisi destinata ad essere liberata dalle costruzioni circostanti al fine di poterla studiare, le case Reggiani decretate indemolibili per mantenere la divisione tra le due mirabili piazze della Mercanzia e di Porta Ravegnana.
Coll’approvazione del palazzone cominciarono i guai. Venduta o quasi, l’area dove sorgono le torri della Provincia di Bologna, l’ufficio tecnico provinciale progettò l’enorme dado senza, naturalmente, tenere alcun conto dei consigli della Giunta Superiore: cosicché anche ora nei corridoi del vecchio palazzo Comunale e Provinciale si sussurra che si demoliranno torri e case Reggiani e forse anche chi le sostiene colla penna e colla voce.
Dato il tenace intendimento vandalico del Comune e della Provincia sorsero parecchie voci di protesta.
E in prima la stampa locale, quasi unanime, si è scagliata contro chi vuole distruggere gli antichi avanzi dell’epoca più bella della città: basti citare gli articoli dell’Avvenire d’Italia, del Giornale il Mattino e del Resto del Carlino: articoli di persone di ogni partito e di ogni autorità: il Mazzuccato del Giornale del Mattino, il prof. Del Vecchio, il dott. Cosentino e quel che è più Guido Podrecca. Si era tanto ripetuto che la campagna per le torri era una fase di lotta politica tra clericali e socialisti. A nessuno passerà per la mente che il Podrecca sia un clericale!
Poi vennero gli articoli dell’Idea Nazionale e del Giornale d’Italia: poi i voti dei più autorevoli e direttamente interessati consessi artistici e storici.
La Società Francesco Francia nella seduta del 29 ottobre 1915 votava all’unanimità il seguente ordine del giorno:
“La Società Francesco Francia esaminata la questione della conservazione delle torri Artenisi e Riccadonna, vagliati i diversi pareri espressi da Enti Cittadini, da Autorità governative, da artisti e da intenditori, fa voto che nella demolizione dei fabbricati del terzo lotto in via Rizzoli siano risparmiate le due torri, affinché più sicuro possa riuscire il giudizio circa la loro importanza e soprattutto circa il loro valore prospettico.
“Inoltre fa voto che da parte del Ministero della Pubblica Istruzione vengano sollecitamente disposizioni atte ad impedire che si attenti alla integrità delle torri stesse, prima del parere delle Autorità competenti”.
La Commissione regionale per la conservazione dei monumenti, riunitasi il 7 ottobre 1915, riesaminò e discusse il progetto Rubbiani in relazione al progetto attuale di completa demolizione dei fabbricati esistenti e di costruzione di un grande fabbricato moderno.
Considerando la importanza storica delle torri degli Artemisi e dei Riccadonna che sorgono sul terzo lotto di via Rizzoli ha formulato il voto che nella demolizione esse vengano risparmiate perché si possano esaminare e si possa inoltre osservare l’effetto estetico di esse in mezzo alle costruzioni che le circondano.
La locale Deputazione di Storia patria nella tornata del 21 novembre 1915 espresse il parere che le torri venissero conservate: e il presidente prof. G. Ghirardini, membro del Consiglio Superiore delle Belle Arti (I° Sezione) ebbe vivissime e nobilissime parole di protesta per l’atto vandalico che si vuole compiere a danno della città.
Infine il Comitato per Bologna storico-artistica, che incessantemente ha tenuto viva la questione, inviò nell’ottobre del 1915 al Ministro della Pubblica Istruzione le seguenti parole:
“ Il Consiglio Direttivo del Comitato per Bologna storico-artistica rievocando il ricordo del compianto Alfonso Rubbiani che fu strenuo e fervido propugnatore della conservazione delle torri Artemisi e dei Riccadonna:
1° esprime vivissimo rammarico che non si sia tenuto conto del progetto da lui presentato a nome del Comitato, secondo il quale ambedue le torri sarebbero rimaste libere nell’ampliata via prospiciente le case Reggiani;
2° affida alla presidenza il mandato di sottoporre ancora una volta al Comune e alla Provincia di Bologna le ragioni ideali e storiche che consigliano la conservazione delle due torri, e di studiare d’accordo con gli Enti stessi se sia possibile giungere a questo fine o mediare l’arretramento verso ponente del Palazzo destinato agli uffici provinciali o in qualsiasi altro modo che meglio si concilii con le esigenze economiche ed edilizie delle nuove costruzioni”.
Davanti ai voti di tanta gente, che, mettiamo per un momento, non rappresentano gli ultimi venuti nel campo storico-artistico, il Consiglio Superiore delle belle Arti, recatosi più volte in luogo, emise il voto del 7 gennaio 1916 nel quale, come era facile immaginare, si dilungò nel parlare del nuovo palazzo della Provincia, della sua futura altezza e planimetria e forma, consigliando come ultima cosa all’ufficio tecnico della Provincia di studiare un nuovo progetto, che potesse includere e salvare la torre Artenisi e un pezzetto di quella Guidozagni.
Il consiglio suona ironia, specie se fatto ad un ufficio tecnico!
La Giunta Superiore ribadì poi il divieto di demolire le case Reggiani, per la loro importanza planimetrica rispetto alla Piazza Ravegnana. E va bene: ma colla stessa autorità non potevano i membri della Giunta, piuttosto che perdersi in piccole discussioni sul palazzone futuro, sinceramente riconoscere l’analoga importanza planimetrica ed estetica delle torri Riccadonna, Artenisi e Guidozagni, siano pure basse, siano pure guaste, siano pure prive di affreschi di Michelangelo, o di sculture di Jacopo della Quercia?
In coda al voto del Consiglio Superiore si legge che delle torri si dovranno COMUNQUE trarre accurati rilievi.
No, on. Membri del Consiglio, no comunque. Sono le torri che devonsi conservare per prima cosa, per il decoro del luogo e della città: quando si decide comunque di fare un rilievo, è più semplice affermare che il monumento è condannato per sempre; confessare che è necessaria la sua demolizione.
Nessun articolo, nessun voto, nessun parere veramente serio è uscito dalla penna o dalla bocca dei demolitori delle torri.
Si obietta che sono piccole.
Forse che mai si è misurata l’estetica col metro?
Si obietta che sono brutte e prive di ornamento.
Forse che, data la povertà dei monumenti medioevali di Bologna, fatti di poverissimi mattoni, si potrà con questo concetto demolire tutto quanto non contenga marmi, pitture, oggetti preziosi? E cosa devono essere le torri del medioevo, se non torri massiccie, fiere, vestite quasi a guerra, preparate certo a difesa, e non mascherate a festivals come tanti palazzi moderni?
Si obbietta che le torri isolate non rappresentano quanto esisteva nel secolo XII o XIII, mancando le casupole che le cincondavano.
Ma anche le torri Asinelli e Garisenda in sul finire del secolo XIII furono liberate dalle case, che le stringevano alla base: e nessuno pensò mai che tale liberazione volesse dire anche demolizione delle torri. Il concetto poi di abbattere quanto rimane di antico perché incompleto vorrebbe dire la rovina di tutto il patrimonio archeologico e storico di tutto il mondo: sì che è inutile soffermarvisi.
Si obbietta che il piano regolatore deve pure essere eseguito per le ragioni di viabilità e di igiene, che gli hanno dato vita e ragione.
E chi vieta di dare fine al famigerato piano con un terzo palazzo in via Rizzoli? Si chiede solo di costruirlo di minori dimensioni, più in arretrato rispetto alla piazza della mercanzia e a quella di Porta Ravegnana. Lasciando vivere in pace le povere torri, che non hanno mai fatto e non faranno mia male a nessuno.
Si obbietta che il Comune di Bologna perderebbe parecchie migliaia di lire, corrispondenti all’area lasciata scoperta a favore delle torri.
Ma, tralasciando di notare che le autorità artistiche devono giudicare a ragione di arte e non di finanza, quale sacrificio farà il Comune, se dovrà rinunziare alla spesa occorrente alla demolizione delle case Reggiani, somma ben superiore a quella ricavabile dalla vendita dell’area, ove sorgono le torri?
E allora quale ragione seria portano i demolitori?
Nessuna, nessuna, nessuna.
Il Consiglio Superiore pertanto è favorevole implicitamente alla demolizione delle torri e vieta quella delle case Reggiani.
Va bene: si costruisca pure l’enorme palazzone di stile antico-moderno. Crede il Consiglio Superiore che le autorità Municipali e Provinciali vorranno mantenere la facciata del loro palazzo per più di 20 metri di lunghezza a una distanza di circa 10 metri dalle case Reggiani?
Possibile che proprio ora dimentichino i principi tanto strombazzati di viabilità, di larghezza stradale, di enorme concorso di veicoli e carri e pedoni, invocati per demolire specialmente la torre Riccadonna?
Se vorranno essere logici, dovranno passare sopra ai deliberati della Giunta Superiore e demolire le case Reggiani.
Ecco a che cosa si riferirà il tentennamento superiore tra le contingenze storiche e quelle finanziarie.
E le due piazze (Mercanzia e Porta Ravegnana) si fonderanno in una sola, causando la più brutta visione della Mercanzia, sformando tutto il vecchio centro.
Se la Giunta Superiore, riconosciuta sinceramente l’importanza delle torri, dovrà sospenderne le demolizioni, potrà trovarsi l’Ente che alleggerirà momentaneamente il Comune per la minore entrata finanziaria.
Ora conviene ricordare, e lo diciamo ad alta voce, che lo stesso Consiglio Superiore ha deciso di sospendere la demolizione delle torri finché non si possano studiare libere dalle costruzioni di cui ora sono circondate.
La fotografia, di cui uniamo la riproduzione, mostra che le case che circondano le torri ne disturbano la visione.
Vorranno i demolitori neanche concederci di vedere per un sol giorno le torri liberate e fuse col gruppo delle sorelle maggiori, con S. Bartolomeo, con il palazzo degli Strazzaroli, colle case Reggiani, colla Mercanzia, formando un insieme tra i più belli d’Italia, che i barbari del Nord, che noi tacciamo di vandalismo, conserverebbero con venerazione?